Alberto Venditti

dal “Teatro della Follia” alla Pietà Rondanini

Mostra a cura di Ferdinando Zanzottera

Locandina - dal “Teatro della Follia” alla Pietà Rondanini

 

 

Sede: Palazzo Arese Borromeo
Luogo: via Borromeo, 41 – Cesano Maderno
a cura di: Ferdinando Zanzottera
Apertura della mostra: dal 22 giugno al 15 settembre 2024
Da lunedì a venerdì: dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 18,00
Sabato e domenica: dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 15,00 alle 19,00
Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura
Mostra inclusa nel biglietto d’ingresso di Palazzo Arese Borromeo

La mostra è organizzata dall’Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda in collaborazione con il Comune di Cesano Maderno e Art Lab Giardino 22 nell’ambito delle celebrazioni dell’anno basagliano (centenario della nascita di Franco Basaglia: 11 marzo 1924 ‐ 29 agosto 1980).


Si terrà un momento pubblico di presentazione della mostra (con la presenza dell’autore e del curatore) Mercoledì 17 luglio a partire dalle ore 18,00 (anche in streaming) in Sala Aurora (programma specifico in corso di definizione)


Per maggiori informazioni:
Comune di Cesano Maderno – Ufficio Cultura (cultura@comune.cesano-maderno.mb.it)
Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda (info@istitutoartelombarda.it)


Nella magica atmosfera delle sale affrescate di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno, il 22 giugno 2024 si è aperta La mostra “Alberto Venditti: dal «Teatro della Follia» alla Pietà Rondanini” che ripercorre in chiave inedita l’operato artistico del pittore e incisore nato a Napoli nel 1939, già docente all’Accademia di Brera.
L’esposizione ripropone, contestualizzandole culturalmente, alcune sue opere degli anni Sessanta-Settanta e degli ultimi due decenni, collegandole idealmente con l’opera poetica di Kahlil Gibran intitolata “Il Folle” e con i versi della nota poetessa Alda Merini dedicati al dolore indicibile dell’esperienza manicomiale e alla Pietà Rondanini, da lei intesa come espressione di un’ideale trilogia: il sacrificio in croce del Figlio dell’Uomo, giudicato folle dalla mentalità corrente; il lacerante dolore della Madonna, madre del condannato; la solitudine del Cristo, deriso e respinto.
Per la prima volta sono raccolte ed esposte le opere di Venditti appartenenti al ciclo de “Il Teatro della Follia”, personale disanima dell’artista della società degli anni Settanta, segnati dalla finzione dell’uomo comune, molto spesso più interessato all’apparire che alla bellezza della realtà, dall’ipocrisia del voler celare la propria vera identità nel palcoscenico dell’esistenza, dalla violenza del brigatismo e dalla presa di coscienza della società civile della drammatica condizione dei luoghi nei quali erano rinchiusi i malati di mente (i manicomi). Temi della ricerca di quegli anni di Venditti, dunque, sono il cinema, il teatro, la recitazione, la maschera, oltre che la follia, il sonno della ragione, la fuga e il dramma del suicidio. Quello riproposto in mostra è un ciclo pittorico affiancato da una serie di opere, quasi tutte degli anni Sessanta, nelle quali l’artista raffigura il surreale, volatili mostruosi, creature inesistenti ed esseri neri fantastici, forse connessi all’io introspettivo più intimo e al segreto universo dell’inconscio.
Nei dipinti traspare la vastissima cultura artistica di Venditti nelle cui opere affiorano a tratti citazioni, ispirazioni o riferimenti, consci e del subcosciente, ai maestri e ai colleghi ai quali egli si rivolge con curiosa gratitudine. Nella ricercata vorticosità dei movimenti, nella maniacale attenzione dell’impiego dei colori e dei loro accostamenti e negli studiati punti prospettici impiegati da Venditti per costruire le scene dipinte, non sono dunque evidenti solo le lezioni di Armando De Stefano, di Augusto Perez e dei maestri napoletani, ma anche quelle più labili dei surrealisti e di René François Ghislain Magritte, come ne “Il poeta e la città” e ne “L’uomo allo specchio”, nel quale una persona vede il suo vero volto riflesso nello specchio malgrado abbia il viso avvolto da bende e sia coperto da una mano.
Riprendendo l’espressione da molti impiegata per definire Magritte, anche Alberto Venditti è dunque un “disturbatore silenzioso”, perché i suoi dipinti celano verità profonde segnate dalla storia e dai segni dell’operosità del lavoro manuale che, come affermava Alda Merini in un’intervista RAI del 2001, cela sempre la caducità della condizione dell’uomo e la sua sacralità.

Ferdinando Zanzottera


Ritratto per la follia - 1979 olio su tela cm.72x91

Ritratto per la follia – 1979 olio su tela cm.72×91

Citazioni presenti in mostra

DA “IL FOLLE” DI KALIL GIBRAN

“Mi chiedi in quale modo io sia divenuto folle.
Accadde così: un giorno, assai prima che molti dèi fossero generati, mi svegliai da un sonno profondo e mi accorsi che erano state rubate tutte le mie maschere – le sette maschere che in sette vite avevo forgiato e indossato -, e senza maschera corsi per le vie affollate gridando: «Ladri, ladri, maledetti ladri».
Ridevano di me uomini e donne, e alcuni si precipitarono alle loro case, per paura di me. E quando giunsi nella piazza del mercato, un giovane dal tetto di una casa gridò: «È un folle».
Volsi gli occhi in alto per guardarlo; per la prima volta il sole mi baciò il volto, il mio volto nudo.
Il sole baciava per la prima volta il mio viso scoperto e la mia anima avvampava d’amore per il sole, e non rimpiangevo più le mie maschere.
E come in trance gridai: «Benedetti, benedetti i ladri che hanno rubato le maschere».
Fu così che divenni folle.
E ho trovato nella follia la libertà e la salvezza: libertà dalla solitudine e salvezza dalla comprensione, perché quelli che ci comprendono asserviscono qualcosa in noi”.


Uomo allo specchio - 1974 olio su tela cm.87x116

Uomo allo specchio – 1974 olio su tela cm.87×116

DA “VUOTO D’AMORE” DI ALDA MERINI – 1991

Spazio
Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano


DAL DOCUFILM-INTERVISTA AD ALDA MERINI “PUNTI DI VISTA”.
ALDA MERINI DAVANTI
ALLA PIETÀ RONDANINI – 2001

“Ma è così bella la vita nella sua intemperanza, in fondo perché una persona deve sapere che lei ha sofferto in un manicomio un’orrenda favola, una favola di orrore, una grossa canagliata.
L’uomo ci si crogiola nel dolore, non ho capito perché.
Parliamo invece di gioia. Parliamo di sole.
Michelangelo mi ha sempre colpito molto, anche perché ha avuto una vita straziata dal male, proprio dal male fisico e morale, ma da questo male, umano e disumano, sono nate delle cose grandiose […]
Nella Pietà Rondanini ci sono due tempi di dolore: il dolore fisico, il rilasciamento fisico di un Cristo che cade dalla croce, che quindi è morto, e che ormai è senza dolore dopo aver passato il travaglio della carne; e il dolore morale di Maria […]
Si fa tanto caso al dolore mariano perché la Madonna è stata ferita a morte. Il figlio è talmente legato alla madre che il dolore del figlio carnalmente lo sente anche la madre […]
Nella pietà c’è anche l’urlo segreto che non si sente. E quanta gente come noi urla lungo la giornata. A volte non è la voce ad essere sintomo di dolore, ma spesso è il silenzio.
Noi vediamo nella Pietà Rondanini un silenzio mostruoso, una morte della parola e, infatti, muore il «Verbo»”.

La pietà n°9 - 2009 olio su tela e collage cm.70x60

La pietà n°9 – 2009 olio su tela e collage cm.70×60