MARCELLO COLUSSO
e “L’isola misteriosa”
Mi riesce molto difficile tracciare in poco spazio e, a pochi mesi dalla sua scomparsa, un ricordo di Marcello Colusso, senza essere sopraffatto dai tanti ricordi che si affollano nell’animo.
Per gli amici che gli volevano bene, perché a Marcello non si poteva non volergli bene per il suo modo di sentire l’amicizia sempre generosa e intelligente, la sua scomparsa ci appare doppiamente dolorosa, perché è accaduta in un momento molto interessante della sua ricerca artistica e culturale, in un momento sorprendente e magico della sua pittura.
In uno di questi pomeriggi di Ottobre, sul tardi, tornando in macchina dalla Bovisa (dove Colusso aveva la sua dimora milanese) mi son trovato davanti, improvviso, il tramonto; questi tramonti a Milano, così rari e inaspettati; un rosso aranciato denso che afferrava la gola, con delle lame d’oro orizzontali, andava a cadere dietro gli scheletri dei dinosauri delle fabbriche abbandonate. In quei momenti mancano le parole; è il sentimento di sempre: la struggente e inafferrabile precarietà delle cose, della vita e del tutto. È il tutto trascinato in una voragine. Forse sono le stesse cose che ha sentito Marcello, quando dipingeva “Tramonto alla Bovisa” dove il tramonto occupava i tre quarti dello spazio in alto, come nei paesaggi di Ruysdael prima di essere tagliato dalle sagome scure e geometriche delle fabbriche. Spesso avevamo parlato insieme dell’arte come “miracolo”, come stupore, come accadimento inaspettato. Marcello credeva nel miracolo della pittura con una fede ammirevole che tale linguaggio fosse ancora oggi la scommessa a rappresentare il mondo. Nelle sue ultime tele, il colore toccava note di grande intensità che, come nei grandi veneti, era il protagonista del quadro. Marcello sapeva usare il blu con molta maestria; nei suoi notturni fatti di cieli, di nuvole, di stelle, di aria. Il quadro aveva una tonalità unica dominante, ma con sapienti variazioni interne; il colore liquido, trasparente steso di prima mano, senza pentimenti ulteriori, con un’ansia di fare in fretta, con una tecnica rischiosa, ma tesa a liberare il fantasma che c’era dentro. Colusso era una persona unica nel suo genere, amatissimo dai suoi allievi dell’Accademia per le sue bellissime lezioni di storia dell’arte, sempre vere ed appassionate. La sua doppia formazione, letteraria e artistica, di storico dell’arte e di pittore, gli davano la capacità che hanno pochi, di inquadrare con occhio sicuro la personalità di un artista. (I suoi scritti sulla mia pittura sono tra quelli che più hanno colto il centro del problema).
Diversi ricordi personali mi stringono il cuore e mi fanno sentire forte la sua mancanza. Un mattino, presto, suona il campanello; Marcello, andando a Brera era passato dal mio studio; aveva tra le mani un tubo di blu, un colore che ave¬va confezionato mischiando 1’olio al pigmento come gli antichi: un regalo per me; è un blu intenso che lui padroneggiava con grande bravura, un blu di una sonorità che andava oltre il quadro. Quel colore è ancora lì, intatto tra i miei; chissà se riuscirò mai ad usarlo. Colusso era il fondatore e l’anima del “Melograno d’oro”, l’associazione di un gruppo di artisti dell’Accademia di Brera. “Siamo accomunati da ciò che non ci interessa”, diceva, sempre pieno di idee ed entusiasmo. L’associazione che in un arco di circa dieci anni ha svolto un’attività molto viva per le proposte e i temi delle sue mostre e per i confronti con gli artisti di fuori dall’area milanese. In una delle ultime mostre del “Melograno” che aveva come tema “l’Angelo”, anzi, “Ci vorrebbe un Angelo”, l’opera di Marcello mi aveva particolarmente colpito per la sua concettualità. Era un autoritratto di spalle: il pittore è seduto su di uno sgabello; ai suoi piedi un gatto (memoria del Lotto?). Entrambi osservano rapiti un Angelo, anch’esso di spalle che dipinge nuvole o ali; il pittore si è fatto da parte, ha deposto i pennelli, ha capito i suoi limiti umani, il lavoro è stato affidato a mani che sanno trattare con gesti sicuri il “miracolo”.
Ho saputo che Marcello ha trascorso le sue ultime ore in montagna, per cercare di staccarsi dalle sue sofferenze fisiche; ma io non ho dubbi; era andato ad inseguire la sua isola misteriosa, il suo blu con tutte le sue sfumature e il suo mistero in una notte piena di stelle.
Dicembre 2000
Alberto Venditti