L’ultima cena dei giorni nostri
Presentazione della mostra del pittore Giovanni Cerri “Salmi della luce e del silenzio – Omaggio a Padre David Maria Turoldo”
Le opere che Giovanni Cerri espone nel suggestivo spazio della Certosa di Garegnano hanno come fonte ispiratrice la figura di Padre David Maria Turoldo, con il quale l’artista ebbe i suoi contatti negli anni giovanili.
Ho conosciuto anch’io il grande frate e, come molti artisti restammo conquistati ascoltando le sue interviste e leggendo le sue poesie. Ricordo il timbro della sua voce profonda e la verità con cui esprimeva con grande forza parlando del pensiero cristiano toccando il nostro animo.
L’opera che apre il percorso della mostra è il ritratto di Padre Turoldo dipinto di recente e ci colpisce per la sua intensità. Un quadro risolto di getto con grande freschezza e, rigoroso nella sua dicromia, metà dipinto e metà graffiato col carboncino: è un fantasma proveniente da una dimensione fatta di spazio e di luce. Il frate si è affacciato per scrutare con curiosità cosa sta accadendo nel mondo di oggi, ma il suo sguardo vede “oltre”.
Ricordo Giovanni Cerri giovanissimo, concentrato nella ricerca dei mezzi espressivi con scelte già molto precise ma non immaginavo ancora i risultati sorprendenti ai quali sarebbe approdato. Ciò che trovo interessante e coraggioso nel lavorio espressivo di Giovanni Cerri è che l’artista gioca le sue carte con il linguaggio della pittura, che da buon lombardo ha una dominante nell’uso sapiente dei grigi che nascono dagli incollaggi e dalle sovrapposizioni di vari strati ma anche dal ricordo della forte pittura germanica contemporanea. Così l’artista procede febbrile, utilizzando i vari segmenti passati e presenti della nostra cultura figurativa, reinventandoli per dialogare con le tendenze attuali dell’arte, dimostrando che il linguaggio della pittura conserva ancora tutta la sua forza e vitalità nelle scoperte del mondo.
Vorrei però evidenziare un punto importante nella pittura di Cerri; le opere di ispirazione religiosa non sono a sé stanti, ma nascono in quel terreno fertile della ricerca pittorica con un linguaggio unitario che esprime come pochi il suo impegno civile e morale nelle immagini e nella sostanza della sua pittura.
Si pensi alle opere molto forti ed austere sui migranti; una tragedia dalle dimensioni bibliche che ha sconvolto i nostri giorni o la morte delle periferie. In una di queste la luce gialla di un flash investe lo spazio cancellando ogni presenza umana, che rimane però sotto forma di teschi disseminati nel primo piano tra le macerie come cose che persistono. Lo stesso accade per le città, le splendides villes di Rimbaud; sono state aggredite da uno tsunami, che nella sua furia ha corroso le forme e la bellezza di un tempo. Lo stesso cataclisma hanno subito gli oggetti della liturgia cristiana delle recenti opere, ma nello spazio del dipinto sono rimaste imprigionate vibrazioni cromatiche come frammenti o ricordi delle grandi opere religiose di una grande stagione passata.
In una rappresentazione dell’altare, l’oggetto simbolo appare capovolto; il cataclisma ha slavato i colori, ma l’immagine nasce dai residui della distruzione con impeto, con rischiosi accostamenti tonali realizzati con la sovrapposizione per strati della materia con tutti i suoi incidenti e le sue scoperte. Lo stesso per il tavolo dell’ultima cena che richiama per i colori la sontuosità delle opere storiche; un silenzio attonito si è fermato sugli oggetti, è un’ultima cena dei nostri giorni. Il calice è caduto sul tavolo.
La Sindone ci ricorda come forza espressiva il Miserere di Georges Rouault, la testa del Cristo nella sua scabra essenzialità è impressa in un frammento del telo come un diaframma dello spazio e del tempo. E’ l’eikòna che nel suo sgocciolamento ci trasmette più delle altre il senso dell’eternità.
Alberto Venditti
Settembre 2017