Critica
Mario Borgese
Panta Rei
giugno 2010
Il ricordo ha bisogno di prendere luogo dentro e fuori di sé in una successione di piani e di lontananze, facendo così apparire forme che la mente accorda o disunisce evocando situazioni, gesti ed eventi. Accade così che tempo e spazio si concretizzino nei loro intrecci deidentificando le cose e le figure consapevoli delle somiglianze, una forma di tradimento di ciò che ci appare che si pone come alibi delle conoscenza anziché principio conoscitivo, superficie, pelle, non corpo né identità, né racconto. Nel suo farsi, nella sua lucida passionalità che conduce all’immagine, la pittura prende a formarsi per fluidità e trasparenze attraverso la sorpresa di aggregazioni di forme, oggetti e figure: l’attimo è colto, ma tutto è travolto da un vortice che muove le immagini e le traduce in un incessante fluire trascinandole come foglie al vento che si precisa impetuoso. Un flusso di energia, dynamis, che mai si acquieta, in quella sempre presente inquietudine del vivere che lo sguardo attento della memoria coglie al di sotto del quotidiano. Venditti viaggia all’interno di sé e colloquia solitario con la propria anima. Si delinea così, nel suo raccontare, un linguaggio tutto interno ad un sentire poetico capace di evocare i luoghi della memoria e del sogno.
2005
La Cappelletti Arte Contemporanea ha presentato, in maggio, l’ultima produzione del pittore di origine napoletana, da anni residente a Milano, Alberto Venditti: paesaggi e nature morte, dipinti con rara sintesi denotativa. Da tempo, ormai, questo vigoroso esponente della nuova figurazione contemporanea ci presenta oli di estrema asciuttezza espressiva. Il colore è magro, in certi casi come strappato dalla stessa polpa cromatica in una sorta di ferita aperta; il segno serpeggia lungo le torturate campiture come per graffiare ed incidere in profondità il tessuto degli scarni soggetti trattati. Si ha così la percezione, acutamente dolorosa, di una visione del mondo che si sospinge sino alle radici dell’essere, dove l’uomo-natura rispecchia le lacerazioni e gli spasimi della sofferenza universale.
Mario Borgese nasce a Milano nel 1936, si laurea prima in Filosofia, poi in Paletnologia presso l’Università degli Studi di Milano.Negli anni Settanta e Ottanta ha cogestito la Galleria di Porta Ticinese in Milano insieme ad altri artisti, frequentando gli studi di numerosi pittori e scultori come Enzo Mari, Alik Cavaliere, Pino Spagnulo, Paolo Baratella, Mauro Staccioli, Giangiacomo Spadari, Tino Vaglieri, Nanni Valentini. Nel 1976 partecipa alla Biennale di Venezia insieme al Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese.
È citato in alcune tesi di Storia dell’Arte e in alcuni testi sui gruppi artistici milanesi operanti negli anni 1968 – 1985.
Ha fatto parte della Commissione Artistica della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.
Collabora con una casa editrice dell’Università Statale di Milano che utilizza i suoi lavori come copertine per una collana di filosofia.